SCHONBEG EST MORT!

Anche questa settimana non rallento affatto con le provocazioni, e prendendo a prestito una frase di Pierre Boulez, che nel 1951, dopo la recente scomparsa di Arnold Schonberg, titolò così un suo articolo per la rivista inglese "The Score". E adesso vi spiego perché l'ho scelta.

       

Pierre Boulez                                        Arnold Schonberg

Ripartiamo dunque da dove ci eravamo interrotti. Come prima cosa voglio sottolineare che non ho niente di personale con Zimerman e Baremboim, sono entrambi due professionisti che senza ombra di dubbio affrontano il loro lavoro con serietà, anche se non con immenso entusiasmo. E la serietà nel lavoro è già molto difficile da incontrare, quindi degna di rispetto.

Ma torniamo a Schonberg. Dopo la sua morte appunto, Boulez incitava il popolo dei compositori a ripudiare le idee dodecafoniche di Schonberg e dirigere le loro forze verso il linguaggio del futuro. Ora onestamente io stimo e apprezzo molto Boulez come direttore d'orchestra; sia a New York, che successivamente a Chicago ha fatto delle cose notevoli, ma come compositore non mi ha mai entusiasmato a dire il vero. Ma c'è comunque in questo modo di pensare, una piena consapevolezza dello stallo in cui versava già in quegli anni il linguaggio musicale classico. Anzi più che di stallo parlerei addirittura di regressione, basti pensare che lo stesso Schonberg negli ultimi venticinque anni della sua vita aveva rivisto molto le sue teorie dodecafoniche, rinunciandovi quasi totalmente e facendo un passo indietro verso il cromatismo post romantico. Ed una voglia di cercare e spostarsi verso qualcosa di nuovo e diverso.

Se il panorama della nuova musica classica era stagnate già negli anni cinquanta, adesso può essere definito totalmente morto, e credo che questo sia uno dei motivi principali per cui ai giorni nostri non ci sono più gli esecutori di livello assoluto che c'erano  una volta. Ho recentemente letto la biografia di uno di questi grandi del passato, Nathan Milstein, nella quale viene descritto il mondo culturale all'interno del quale lui, ed atri grandi alla sua stregua, vivevano. Milstein ha eseguito il concerto di Glazunov a tredici anni davanti all'autore, collaborava con Rachmaninov per le orchestrazioni, ha suonato diretto da Strauss. Richter lavorava fianco a fianco con Prokofiev, Sostakovic ha scritto i suoi concerti per Ojstrach. Quando Horowiz è nato, Chopin era morto da poco più di cinquant'anni, e la sua era ancora musica relativamente giovane. Suonavano musica viva! Quello che suonavano corrispondeva a quello che vivevano e per questo motivo alcune esecuzioni di questi grandi rimangono pietre miliari, che attraversano il tempo non meno delle composizioni stesse.

Questo a parer mio è uno dei problemi più grandi della musica classica di oggi. E' un involucro chiuso e autocelebrativo senza il minimo spiraglio di aderenza alla realtà; è musica di un altro mondo e di un altro tempo. E purtroppo, quando una qualsiasi forma di vita non riesce più ad evolversi e adattarsi a quello che la circonda, è destinata inesorabilmente a morire. Anche la definizione stessa di "Musica Classica" è ormai obsoleta. Anzi addirittura il concetto di musica lo è, sarebbe più opportno parlare di suono.

Un paio di anni fa ho lavorato ad un progetto con alcuni ingegneri del dipartimento di elaborazione dei segnali del CNR di Pisa. Stavamo sviluppando un framework per la gestione del suono nel dominio digitale. E' stato come venire a contatto di un mondo parallelo, nessuna di quelle persone era in grado di leggere una nota su un pentagramma, ma sapevano interpretare e capire un immagine spettrale. Non so come spiegarvi, se a loro dico che l'oboe da il LA all'orchestra per accordare non mi capiscono, ma se gli dico che emette un suono a 442Hz sanno esattamente di che cosa parlo. E' come essere un gradino sotto la musica, quando ancora non si è trasformata in note, e questo contatto molto più ravvicinato con la materia, rispetto alla nomenclatura classica, contribuisce a far nascere nuove forme espressive. E a far si che esistano musicisti che non sanno leggere le note. Come Bad Sector, al secolo Massimo Magrini, che fa musica Noise e Abient, e che ci ha gentilmente concesso l'utilizzo del brano Kosmos per la colonna sonora del nostro sito. Massimo è un musicista e un artista, non legge le note, ma i suoni che produce e che crea trasmettono sensazioni a chi le ascolta. Può essere che le sensazioni alle volte non siano piacevoli, ma la vita di oggi, quella reale e di tutti i giorni dico, non ha certamente gli stessi echi armoniosi che devono aver ispirato Schubert quando ha scritto La Trota. Oggi si vive in città grandi e rumorose, e questo è quello che vivono le nostre orecchie, non gli uccellini che cantano e i pesciolini che sguazzano purtroppo. 

A presto

Paolo.