VINCENT E LA TRIDIMENSIONALITA'
Quando ho iniziato a fare questo mestiere davvero non avrei mai potuto credere che la passione per il legno si potesse trasformare quasi in malattia. Avere del bel materiale in stock è, per chi fa questo lavoro, come possedere un preziosissimo tesoro, i liutai e gli archettai spesso rischiano anche il fallimento per comprare legno. Non molto tempo fa mi sono sentito dire da un collega liutaio: "Guarda mo che bel fondo, non è un momento particolarmente buono per comprare, ma appena mi ha visto mi ha chiamato papà! Non potevo non portarlo a casa."
La stessa cosa è successa anche a me un paio di anni fa quando mi sono trovato davanti una partita enorme di pernambuco appena arrivato da Brasile e non ancora visto da nessuno. Anche per noi, come per il nostro collega non era un momento eccezionale per comprare, ma vedersi tra le mani tutto quel ben di Dio ci ha quasi fatto perdere la ragione; sembrava di essere arrivati nel paese dei balocchi.
Il brutto risveglio è arrivato quando terminata la scelta il venditore ci ha presentato il conto. Di primo impatto abbiamo avuto un mancamento, ma i sacrifici fatti per portarselo a casa sono stati più che ripagati. Una partita di legno meravigliosa, composta da pezzi d'oro, più che bacchette, con alcune punte di diamante, una delle quali, probabilmente la più bella, ce l'avete davanti.
Come tutti i nostri archi, in particolar modo quelli montati in oro, anche il legno di Vincent ha una velocità di propagazione del suono molto elevata; 5932 m/s ed in oltre, il taglio è perfettamente radiale. Già dal momento della prima selezione ho capito di avere tra le mani qualcosa di speciale, ma ancora non immaginavo quanto.
Prima di mettere in lavorazione una bacchetta di tale livello è indispensabile, almeno per me, trovare un musicista che sia in grado di poter apprezzare, un oggetto così particolare. Troppo spesso mi è capitato di dover vendere archi eccezionali a strumentisti che avevano la possibilità economica di comprarli, ma non la sensibilità per capirli e apprezzarli, e quando succede, sono felice perché ovviamente pago i miei conti, ma in bocca mi rimane sempre un retrogusto leggermente amaro.
Alcuni mesi fa avevo conosciuto un ragazzo a parer mio molto intelligente e sensibile e così: -"Francesco, è interessato a suonare con una meraviglia?"-. "Si!".
La catena era completa: grande bacchetta, grande archettaio, e cliente adeguato. Pronti; Via!
La costruzione è stata un vero e proprio combattimento. Il legno con un carattere così deciso è affar serio per qualunque archettaio, perfino per uno come Daniel, che è riuscito a domarlo, ma non senza fatica, e considerate che vedendolo lavorare si può pensare che l'archetteria sia un lavoro facile, tanta è la naturalezza e l'eleganza tecnica che ha nei gesti.
Fino a che si è trattato di sgrossare con la Stanley, le cose sono andate abbastanza lisce, i guai son arrivati al momento della prima piega. Il legno aveva una forza impressionante ed è stato necessario scaldarlo molto per poterlo piegare.
Poi è arrivata la rasiera. Questo particolare strumento, usato in particolar modo nella scuola Italiana di costruzione, è già per sua natura, l'angolo d'incidenza della lama è di novanta gradi,
molto faticoso. Quando però il materiale è durissimo, come in questo caso, tirare un ottagono diventa un vero corpo a corpo. Alla fine della lotta Daniel ha vinto, ma la sua schiena ha pianto per un paio di giorni!
Proprio dalla lavorazione con la rasiera ho iniziato a capire che quello che mi aveva spinto a scegliere questa bacchetta era solamente una parte della bellezza. Ero davanti a Daniel appoggiato al banco quando ha iniziato a lavorare la parte sinistra della testina. Dava dei colpi rapidi e leggeri, e non appena la pialla ha fatto presa ho iniziato a sentire dei sibili altissimi. Ovviamente tutto il legno di pernambuco, essendo legno sonoro, lo si sente gemere sotto il taglio degli utensili, ma non così.
Prendo il telefono; chiamo il cliente; -"Lo sente?"-; -"Si!!!"-. Stava cantando.
Quando Daniel finisce gli archi, e questo livello in particolar modo, ho l'abitudine di farli suonare almeno per una mezz'ora da qualche strumentista che gentilmente si presta, questa volta però non sono riuscito a trovare nessun violinista. L'unica risorsa rimasta era il mio amico violoncellista Jakob Ludwig e quindi Vincent ha avuto il suo battesimo del fuoco su un violoncello.
Siamo rimasti tutti e due a bocca aperta; ho sentito molti archi da cello cavare meno suono di questo neonato. Profondo e definito perfino in terza e quarta corda, e talmente largo da sorprendere anche Jakob che è uno dei migliori conoscitori del nostro lavoro.
Perché Vincent?
La camera di Vincent ad Arles
Il nome di questa meraviglia a dire il vero non è mio, ma del fortunato possessore, e nasce da una discussione che abbiamo avuto in quei giorni, a proposito di uno dei più famosi quadri di Van Gogh, La camera di Vincent ad Arles appunto.
La prima volta che l'ho visto dal vivo credo di averci passato una mezz'ora davanti. Anzi no, non davanti, ma spostandomi e osservandolo da diversi punti. Se vi capiterà di visitare il Van Gogh Museum di Amsterdam, provate a fare questo esperimento, vi accorgerete che cambiando il punto da cui lo guardate il dipinto vi apparirà diverso ogni volta. Tecnicamente il Maestro ha ottenuto questo effetto togliendo completamente le ombre e forzando le forme come in un gradangolo.
Nel caso del nostro Vincent invece ci ha pensato la natura. Daniel è stato bravissimo a far uscire così bene i raggi midollari, ma il disegno che compiono non è opera sua. Tornate a vedere la seconda foto del post; più che tridimensionale sembra viva. Neanche Van Gogh in persona sarebbe stato capace di tanta perfezione.
Vincent - Arco da violino D.T. Navea Vera
Bacchetta: Legno di pernambuco arancio scuro a sezione rotonda, velocità del suono 5932 m/s, taglio radiale, curva antica.
Nasetto: Ebano, oro, e madreperla "cuore"
Bottone: In tre parti, ebano, oro, e madreperla "cuore"
Fasciatura: Piattina d'oro e tartaruga
A presto
Paolo
A Francesco e Vincenzo
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